Coreografia D’Arte, nella prossima edizione, la terza, indaga lo spazio. Non semplicemente come elemento coreografico, fisico e concettuale, intrinseco all’arte della coreografia e all’arte tutta, quanto come elemento più generale: naturale, quotidiano, psico-fisiologico, socio-culturale, civile, politico e, soprattutto, artistico. Come interrogativo – ancora aperto – fondativo della ricerca e della creatività di ogni arte e attività artistica: pittura, scultura, fotografia, cinema, letteratura.
Spazio, corpo e potere. Su questo vogliamo indagare e ricercare, da qui vogliamo partire.
Lo spazio di una scena teatrale è lo spazio di un’opera d’arte, di un quadro, di un blocco di pietra, di un obiettivo fotografico o cinematografico. É il perimetro di un conflitto. Dello spostamento di un limite. É lo spazio della ricerca della libertà.
L’idea anche che la spazialità sia un’attività formatrice “in quanto struttura astratta che orienta le nostre attribuzioni di senso” (Lotman e Greimas), è in sintonia con l’approccio coreografico ad uno spazio anch’esso astratto in cui i livelli di senso si orientano e si definiscono anche sulla base dell’uso, investendo o meno l’articolazione spaziale di significati e/o valori anche diversi da quelli puramente funzionali che si costituiscono nella relazione col movimento. È in sintonia con la volontà di Coreografia D’Arte di affrontare l’indagine, la ricerca proprio come laboratorio di idee, significati e significanti.
Nella pluralità di accezioni a cui ci si può riferire nella danza e nell’arte quando si parla di spazio (lo spazio del danzatore singolo, quello dell’insieme dei danzatori, lo spazio coreografico scenico e lo spazio/ambiente in cui è immersa la performance), vogliamo addentrarci nelle altre forme che la spazialità può assumere non solo rispetto all’esterno del corpo ma anche rispetto al suo interno. Vorremmo che la danza e l’arte si confrontassero anche con tutta la serie di spazi virtuali, proposti dalle tecnologie – informatiche e non – e dai nuovi media, ma non come medium con cui dialogare e interagire, bensì come supporti che secondo i principi propri dello schermo, hanno probabilmente definitivamente annullato la corporeità e fisicità delle relazioni, lo spazio fisico delle relazioni, qualsiasi esse siano, così come dei desideri, delle azioni, dei pensieri, del dialogo. Si è modificato il corpo, e quanto, attraverso questi supporti e spazi virtuali? Quanto questa trasformazione può aver annullato, insieme al corpo, al suo spazio, anche lo spazio del “sé”?
E ancora. La danza si fa ‘scrittura’. Diventa capace di una vera e propria ‘incisione’ a livello plastico? Siamo in presenza di uno spazio che, modellando ed essendo a sua volta modellato, acquista una concretezza e densità tale da non potersi più configurare come uno “spazio vuoto” (Lo Spazio Vuoto, Peter Brook,1968).
“Lo spazio rappresenta una forza dinamica nella lotta contemporanea riguardante il significato, l’appartenenza e il potere” Jody Berland, Spazio 2005. Addentriamoci in questa analisi e ricerca.
Martin Heidegger nel testo “L’Arte e lo Spazio” identifica lo spazio come un fenomeno “originario”, che provoca anche una sorta di “paura”. Si offre infatti come il limite, come ciò oltre cui non si può andare: sfida al linguaggio e al pensiero. La nozione di spazio ha un potere evocativo, richiama alla mente altri concetti: liberare, creare un vuoto in cui possa accadere qualcosa, un evento. E il vero, in arte, secondo Heidegger, non è un’esperienza che si imponga all’uomo come l’evidenza degli oggetti, è un incontro più delicato, legato più all’atmosfera che alla presenza: un concorrere e convenire di occasioni. Il filosofo tedesco vede nell’opera d’arte l’aprirsi delle verità. L’arte instaura essa stessa categorie di comprensione, principi concettuali, definizioni che orientano l’esistenza. Per questo l’arte viene prima della verità, poiché, fondando un certo linguaggio, definendo un certo orizzonte, è l’origine della verità. L’arte, per Heidegger, è inoltre coinvolta in un confronto diretto con lo spazio. Come riportato, infatti, nel libro, “Ilmodo in cui lospazio sorregge eattraversa l’operad’arte resta per ora nell’indeterminato”. Lo stesso titolo “Spazio, uomo, linguaggio”, scelto originariamente da Heidegger, pone in correlazione arte e linguaggio in un modo non consueto. E in modo non consueto Coreografia D’Arte vuole indagare e mettere in correlazione arte, coreografia, danza, linguaggio, spazio, corpo e potere.
Libri, saggi, manuali scrivono tutt’oggi della composizione coreografica come arte della coreografia nello spazio, arte dello scrivere la danza nello spazio.
Grandi coreografi del XX secolo si sono posti il problema dello spazio: Balanchine suggestiona il regista Robert Wilson in merito all’invenzione di uno spazio insieme fisico e mentale; Graham, Humphrey, Limón, Ailey danno allo spazio un peso specifico e una solidità plastica esaltando alcuni “punti forti” e con essi i personaggi e l’attenzione dello spettatore, lo spazio perde il suo carattere `neutro’ per diventare un campo di forze contrastanti entro il quale deve evidenziarsi il carattere oppositivo della danza con le sue spinte e tensioni in conflitto – contraction e release per la Graham, fall e recovery per la Humphrey -. Ancora la coreografia degli anni Cinquanta e Sessanta si pone il problema dello spazio. I coreografi della cosiddetta New Dance americana Nikolais, Taylor, soprattutto Cunningham polverizzano le certezze della danza moderna, proiettano l’individuo danzante nel cosmo, alle prese con la tecnologia, la scienza e il necessario ripensamento dello stesso cammino dell’arte del movimento. La prospettiva rinascimentale cade, i corpi dei danzatori sono dispersi in uno spazio senza più poli d’attrazione, il rapporto frontale tra danzatori e pubblico (Cunningham) è spezzato, la necessità di portare lo spettacolo fuori dei teatri, nelle gallerie d’arte, nelle strade, piazze e musei comincia ad essere un’urgenza. Il rapporto con lo spazio impegna anche i postmoderni, con l’ausilio della musica e della scenografia, quest’ultima spesso affidata ad illustri artisti visivi.
L’ultimo quarto del secolo porta le modalità compositive della coreografia neoespressionista, Tanztheater, in cui la deflagrazione cunninghamiana dello spazio coincide con una lacerazione e frammentazione di gesti, azioni, musiche, parole e danza a cui solo l’arte della composizione coreografica può dare ritmo, forma e struttura. Modalità nella quale si introduce lo spazio, indispensabile, delle improvvisazioni dei danzatori. Una materia viva, instabile, provocatoria, capace di mutare il corso e lo spazio di una coreografia predefinita. In questo spazio, che non è più solo un problema fisico ma soprattutto mentale, intellettuale, emotivo, significante, scrivono parole e segni imprescindibili coreografi “dell’espressione” come Pina Bausch, della forma come Forsythe, che sanciscono e attuano che l’arte della coreografia nello spazio è una scrittura significativa e trasparente, leggibile universalmente e immediatamente come un racconto nello spazio, a patto che il coreografo vi riversi un pensiero.
Il rapporto tra spazio, gesto, dinamica. La dinamica nello spazio e dello spazio. Infinite varietà di trame nello spazio. La grana di una superficie nella pittura, il colore, l’impasto, la stesura, l’intensità; il timbro nella musica, il movimento smooth and sharp nella danza; il fulcro del cosidetto dead center – centro assoluto, il fondo e il proscenio, le aree forti e le aree deboli, le diagonali invisibili create dall’occhio nello spazio scenico; la collocazione simmetrica o non, sezioni coreografiche, danze intere, ritmi e sensibili oscillazioni del ritmo, le frasi nella composizione coreografica. Lo spazio sociale e l’umore del nostro tempo, che si riflette su ogni comportamento umano, compresi i sentimenti e i gusti del coreografo. Lo spazio delle influenze visive: l’architettura, le città moderne, la quasi totale assenza di paesaggio, scultura, ornamento. Lo spazio della consapevolezza attiva delle possibile forme espressive; lo spazio delle linee, delle forme e del soggetto. Del dubbio, della forza e del conflitto. La coreografia è la ricerca dello spazio, come la ricerca di definire in quale rapporto si è con il proprio tempo.
Lo spazio dell’immaginazione, dell’ispirazione, dell’abilità nell’improvvisazione, della sensibilità poetica e musicale; lo spazio del corpo, strumento forse più pratico e tangibile delle parole, delle note musicali e del colore; lo spazio della struttura del corpo, delle leve, dei nervi, dei muscoli, della personalità. Lo spazio contraddittorio della ricerca e della produzione. Lo spazio dell’arte come relazione, come veicolo, il luogo dell’accoglienza -attori, pubblico muscolati- come sostiene Peter Brook nel saggio “Da Timone d’Atene a La Tempesta o Il regista e il cerchio”.
Questi solo alcuni degli spunti di partenza dai quali iniziamo riflessioni, domande, idee, tracce e percorsi sullo spazio. Interrogativi e teoresi complessi ma intriganti, e forse doverosi, per la coreografia quanto per l’arte.
Arrivare ad una relazione più forte e profonda con i linguaggi dell’arte e aver cura del conoscere è espressione essenziale di ogni società. Ed è la cura che Coreografia D’Arte ha.
Da qui muove la nuova edizione. Da un pensiero che apra nuove riflessioni sullo spazio, e da una danza nello spazio che nasce da un coreografo pensatore che nella scrittura coreografica rivela la propria estetica e Weltanschauung (visione del mondo). Perché Coreografia D’Arte non smette, proprio attraverso l’arte, di ricordare la necessità di essere testimoni anche del proprio contemporaneo, di masticare un pensiero, di riversare un pensiero, comunicarlo. Anche nelle edizioni passate (2009 e 2010) ha testimoniato anche tematiche e argomenti sociali, contemporanei. Il terreno di Coreografia D’Arte è oltremodo fertile: pittori, scultori, fotografi, scrittori, intellettuali, spettatori appassionati, coreografi e danzatori, critici d’arte e curatori. Per questo proponiamo uno spunto di indagine, analisi, riflessione e teoresi impegnativo come lo spazio.
Coreografia D’Arte è nata dalla convergenza, dal dialogo, l’incontro e la comunicazione delle arti. E crescendo in questa strada di comunicazione umana e necessaria ora prosegue nell’altrettanto necessaria navigazione nell’“arte delle idee”.
Federicapaola Capecchi e Francesco Tadini
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